IN MEZZO SCORRE IL FIUME

20/10/2023 - Beatrice Gaffuri

«Alla fine tutte le cose si fondono in una sola, e un fiume la attraversa».
(Da In Mezzo Scorre il Fiume Norman Maclean)

Un rifugio.
Questo è ciò che ho sempre visto nella Gabana.
Tutto è cominciato da bimba, quando la zia mi ci portava le domeniche di primavera ed era uno spasso giocare con l’acqua e i sassi bianchi nel pieno dello spettacolo della natura che si risveglia.
Poi la storia è proseguita con la maestra De Micheli Maria Teresa che, innamorata del parco del Ticino, accompagnava noi scolari in fila per due alla scoperta dei boschi di latifoglie che costeggiano le rive del fiume azzurro e ci insegnava con i suoi racconti ad amare questo luogo, a sentirlo come casa, a rispettarlo, a farlo nostro pur non lasciando tracce del nostro passaggio, perché tutto rimanesse splendidamente intatto.
Con l’adolescenza il rapporto è continuato. Salire sulla mia bici con i freni a bacchetta e sfrecciare lungo la strada che dopo la Doria declina attraverso le campagne fino ad arrivare al bosco, mi dava un enorme senso di libertà. Il baluginare della luce del sole sulla superficie dei fossi colmi d’acqua limpida mi ubriacava di vita. Oltre la Remondata, avevo la sensazione di entrare in un mondo diverso, lontano anni luce da quello che avevo lasciato solo qualche minuto prima. Arrivata alla Gabana, mi sceglievo una panchina. A volte avevo con me un libro per prepararmi ad una interrogazione o a una verifica e non c’era posto migliore per concentrarmi. Altre volte semplicemente mi divertivo ad immaginare la mia vita sulla riva opposta oltre il fluire incessante della corrente del fiume piena di misteriosi vortici.
Con la maturità, la Gabana è diventata il luogo magico da far scoprire ai miei figli. Li guardavo serena trascinare i loro trattori giocattolo sul greto, spingere con le ruspe piccole montagne di terra e sassolini e pensavo a quanto fossero fortunati ad avere ancora un posto così.
Alla Gabana ci torno sempre anche ora. Magari per una fuga veloce. Forse per trovare la pace dal quotidiano. Probabilmente perché il silenzio colmo soltanto della voce dell’acqua e di chi la abita spesso fa bene. Sicuramente perché ancora sento questo luogo come un rifugio e sono certa che la stessa cosa valga per quasi tutti gli abbiatensi.
Io ci torno sempre, l’ho fatto anche ieri e, vedere lo spettacolo desolante delle panchine divelte, dei rifiuti ingombranti sparsi sul prato, del devasto portato dall’uomo che non comprende il tesoro che gli viene offerto, mi ha fatto male. Davvero non ci rendiamo più conto del valore della nostra terra e di quello che potrebbe ancora significare per i figli dei nostri figli? Davvero non sentiamo più la responsabilità di preservare la purezza di un luogo che è il nostro passato, il nostro presente ed il nostro futuro? Davvero non riusciamo a godere di tanta bellezza riportando i nostri rifiuti a casa?
Valorizzare il Parco del Ticino dovrebbe, a mio parere, diventare la vera sfida delle scuole e delle famiglie abbiatensi che spero un giorno possano tornare ad insegnare a tutte le nuove generazioni il rispetto di un rifugio pieno di incanto.